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Confesso la mia passione per Balzac: vi dico perché leggerlo

di Aurelio Grimaldi
11/07/2019
Confesso la mia passione per Balzac: vi dico perché leggerlo

Ogni passione letteraria  è un viaggio irto di ostacoli. E ad ogni nome di scrittore associamo pensieri e immaginazioni incontrollati. Anni fa, in procinto per partire per un lungo viaggio “cinematografico” negli Stati Uniti, diedi inizio all’eccitante rituale della scelta dei libri da portare con me. Questo articolo è dedicato al pericoloso clan di spudorati amanti della letteratura. Che facilmente comprenderà quanto sia uno dei momenti più eccitanti della vita porsi davanti a pile di inesauribili libri accumulati nel tempo alla voce “da leggere!”, poterne selezionare una decina, e sapere di avere davanti a sé il tempo per poterli divorare!
“Balzac” pensai. “E’ giunta l’ora?”. Il mio archivio parlava chiaro. Nella mia vita, alla non più verde età di 42 anni, avevo fino a quel momento letto un suo solo romanzo, Eugénie Grandet, a vent’anni. Il mio archivio riproduceva un giudizio del tempo, breve, positivo ma non entusiasta, e nient’altro. La mia biblioteca offriva diversi titoli, quasi tutti ponderosi, tutti dei “grandi Libri” Garzanti di cui uno, Illusioni perdute, persino in due volumi! Di Eugénie Grandet non ricordavo nulla di nulla salvo i pochi appunti della mia giovanile scheda nell’archivio. Basta. Riafferrai quel libretto rosso, insolitamente piccolo rispetto ai colleghi dello stesso autore, e finì con un’altra decina di volumi dentro il mio solito zaino.
È così: ad ogni nome di scrittore associamo pensieri e immaginazioni incontrollati. “Balzac? Il solito ottocentesco fluviale, un romanzo ogni sei mesi, magari a puntate su quelle loro rivistine popolari… Tutto trama e niente stile… Questi ottocenteschi europei… Avessero imparato dai nostri Manzoni e Verga: pochi romanzi ma accurati e cesellati!” La seconda parte del rituale comincia in aereo al momento del decollo del triste volo intercontinentale. “Da quale libro cominciamo? Quasi quasi con Eugénie Grandet, cortino, tascabile, e comodamente ottocentesco: non dovrò macerarmi sullo stile e le sue elaborazioni…”
Così accadde, e nacque un amore sconfinato.
Cari amici, eccovi, per chiarezza e per affettuoso confronto, la mia geografia ottocentesca occidentale (di Cina, India, Persia, Etiopia, Congo, Cile, non so vergognosamente nulla, e molto me ne vergogno). Manzoni, Verga e I Vicerè le sommità (ma giuro che non c’è nulla di campanilistico). Flaubert tanto di cappello. Maupassant grandissimo nei racconti, mediocre nei romanzi. Zola ad alti e bassi: grandioso Teresa Raquin, polpettone Germinal. Insopportabili Stendhal, Dickens e Dostoevskij (stile basso imperdonabile), sì a Tolstoj, boh a Poe, sì a Jeckyl e Hide e al Master di Ballantrae di Stevenson; no alla Freccia nera e così così per L’isola del tesoro. Rispetto per Gogol, “rispettino” per Hawthorne, mai toccato Victor Hugo. E Balzac?
Sono passati molti anni da quel viaggio. Rilessi Eugénie Grandet con voracità e ne rimasi folgora-to non tanto e non solo dalla bellezza della “storia”, ma per lo stile incredibilmente accurato, misurato, personale, per uno scrittore da due romanzi l’anno. Nei quattro anni successivi a quel viaggio ho letto altri quattro suoi romanzi ed un racconto, e il “lavoro” procede entusiasticamente: intendo morire dopo aver letto tutto Balzac.
Il resto di questo articolo per convincere voi amici a buttarvi, o ributtarvi, in questo grandioso scrittore. Perché? Secondo il vostro compilatore, per questi numerati motivi:

  • Le vicende di Balzac sono intricate e appassionanti. Ogni storia è strettamente corale. Il ritmo narrativo è salvaguardato e non vi potrete annoiare mai. Qualche svolta feuilletonesca si può perdonare per il semplice fatto che, rispetto ai colleghi del secolo, Balzac ne mantiene un invidiabile controllo. Il ritmo narrativo di Balzac è molto stringente, non manca mai l’ironia, si sorride e, talvolta, si ride compiaciuti.
  • Lo stile! Non ho ancora conosciuto altro autore al mondo capace di scrivere così tanto, mantenendo un livello stilistico mediamente elevatissimo! Dove sta il segreto di costui? Intanto nel suo inarrivabile genio. Ma anche, dal punto di vista tecnico, in un magistero per me ancora rimasto insondabile: il ritmo della frase di Balzac è travolgente; inimitabile; non ha confronti. Il ritmo musicale della frase è reso da un lessico talmente puntuale da renderci apprezzabile ogni suo traduttore che non deve far altro che lasciarsi andare a quel ritmo preesistente. Ho sbattuto la testa più volte per carpirne il segreto, senza cavarne molto di imitabile. La frase di Balzac ha una sua coerenza interna, una forza espressiva, che non mi risulta schematizzabile per diventare imitabile. È sua. Mi ha ricordato semmai un regista a me carissimo, e che considero (vergognandomi a dirlo) un maestro: Vittorio De Sica. I movimenti di macchina di De Sica non sono affatto “speciali”: sono semplici e canonici; eppure non semplicistici. Hanno una loro complessità che però, se vai a studiare singolar-mente – come ho tentato di fare con la “frase” di Balzac – non portano a nulla di riconoscibilmente eccezionale. Ma nell’insieme dell’opera, quella somma di apparenti semplicità producono un “totale” grandissimo. Balzac, insomma, a differenza di quei formalmente semplicioni di Stendhal e Dostoevskij, lo stile lo controlla, lo maneggia, lo offre nel suo apparentemente semplice splendore.
  • Il mondo di Balzac è diviso tra Parigini e Provinciali, Assatanati-di-Denaro e Idealisti, Ricconi che si perdono a mantenere giovani cocottes, e Giovani Cocottes che sfruttano gli anziani ricconi senza perdere vitalità e passione. I personaggi balzachiani non hanno le contorte (ma, lo devo ammettere, affascinanti) ossessioni psichiatriche dei personaggi di Dostoevskij. Sono profondi; o molto materiali o molto idealisti, con i primi involontaria-mente comici, i secondi volontariamente “impostati”. Ma è un mondo sempre corale, vivo e vivacissimo, appassionato, sensuale, e…
  • Sì. Balzac, prima di Tolstoj, ed escludendo ovviamente De Sade, è il più sensuale Ottocentesco che io conosca. Ed è un grande titolo di merito. Se per Manzoni e per il Verga “maturo” il far l’amore era un Assenza (come del resto per la quasi totalità degli altri colleghi occidentali), per Balzac è invece un’attività umana abbondante, riconosciuta e, molti decenni prima di Freud, un pensiero sistematicamente presente nella vita di tutti i suoi personaggi, condizionandone del tutto l’esistenza. La letteratura non se n’era mai accorta con questa intensità e questa naturalezza. Ehi! Non aspettatevi dettagli infuocati o un erotismo voyeuristicamente accattivante! Ma aspettatevi personaggi “caldi”, appassionati, pieni di desiderio, e rapporti sessuali ricercati, organizzati, consumati. Senza dettagli ma senza alcun travisamento puritano! Si fa l’amore! Eccome! Questa è Vita!
  • Il denaro. Quanti avari! Il padre di Eugenie Grandet è uno dei personaggi più intelligentemente divertenti che abbia mai letto. La sua avarizia, nella mani del geniale Balzac, non è macchiettismo ma furia passionale! Ma ugualmente divertente, senza ripetizioni, è il padre di David Sechard nei primi capitoli di Illusioni perdute. Accanto a loro (taccagni puri: il denaro è fatto per contemplarsi, non per essere speso), i crapuloni per sesso: una folla di ricchi parigini nobilmente maritati che si fanno spennare da giovincelle ignoranti sensuali e furbe che offrono sesso e passione ma spillano appartamenti, carrozze, servitori, fiumi di denaro. I ricchi e le loro amanti, che a loro volta li tradiscono con giovani spiantati (o furbi o idealisti, come il Lucien delle Illusioni), in un vortice di inesauribile sensualità.

Cari amici, dopo questa entusiastica perorazione, resta lo spazio per i (personalissimi) consigli di lettura di chi vi scrive: di Eugénie Grandet vi ho già detto. Lo considero a tutt’oggi il capolavoro balzachiano più “perfetto”. Breve, intenso, divertente sul lato Padre-avaro, dolente sul lato Figlia-sensibile, da leggere o rileggere subito. Devo invece contestare lo status di capolavoro che i manuali attribuiscono a Papà Goriot, storia fremente di un padre che si svena e impoverisce per le due uniche e adorate figlie, che lo ricambieranno con il silenzio e il cinico abbandono. Il vostro catalogatore è rispettoso ma assai perplesso. Così come vi consiglio di lasciar perdere La donna di trent’anni, un pasticciaccio del corrivo Balzac, assemblatore astuto (da imprenditore-editore e non da Autore) di racconti malamente combinati.
Entusiasmo alle stelle invece per i ponderosissimi La cugina Bette e  Illusioni perdute. Il primo racconta l’astutissima vendetta che la brutta Bette organizza, con pazienza da coccodrillo e sapienza da vipera, contro la cugina bella, buona (anche troppo) ed angelica. Non siamo dalle parti del geometrico castello delle Liaisons dangereuses, anche per l’insieme corale di tantissimi personaggi che partecipano alle appassionanti vicende. Balzac non ama la geometria per il solo fatto che, scrivendo a spron battuto, dimenticava i capitoli di due giorni prima e confondeva nomi ed eventi: altro che “possibile geometria”! Ma l’insieme, nonostante qualche passaggio narrativo un po’ troppo osato, e un finale un po’ fantasioso è più appassionante che mai. Con per di più, e lo ripetiamo per l’ennesima volta, essendo questa la “freccia” acuminata della nostra passione, con un controllo stilistico sempre assoluto.
Illusioni perdute è, a sua volta, un continente di passioni. Secondo me Balzac aveva cominciato un romanzo (il sensibile David Sechard contro il padre avarissimo, secondo lo schema di Eugénie Grandet) e poi ne scrive un altro: il sogno di sesso e di gloria dell’ambiziosissimo, bellissimo, ingenuissimo Lucien Chardon. Il romanzo, molto lungo ma del tutto piacevole, è famoso per la descrizione crudissima e inclemente del mondo giornalistico e, soprattutto, dei critici letterari e teatrali (il cinema ancora non esisteva…): una massa di furbi arrivisti. La mia impressione è che quel quadro di astutissima gentaglia pronta a stroncare un romanzo per antipatia e gloriare un romanzo per interesse, sia del tutto verosimile, attualissimo, definitivo; quindi immortale. Buon Balzac a tutti voi.

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