La serie Tv “Romanzo siciliano” in onda su Canale 5 non è solo girata quasi del tutto a Siracusa e in parte a Noto, Augusta e Taormina, ma è pure ambientata a Siracusa, nel senso che si serve nella trama di luoghi e nomi richiamati in assoluta fedeltà, così da fare credere che i fatti narrati siano verosimili proprio perché fortemente contestualizzati. Come indica infatti il sito di Mediaset, la serie in otto puntate è “ambientata nelle location più affascinanti della Sicilia”, ed è vero, ma gli avvenimenti sono del tutto estranei alle location. E’ stato come girare a Siracusa immaginando di essere a Palermo, inducendo la stessa sensazione nel telespettatore. Tanto è vero che lo stesso sito riferisce che “la caccia al superlatitante ci porterà all’interno delle nuove modalità criminali di Cosa nostra, a loro volta intrecciate con il potere politico ed economico siciliano”. Nulla di più estraneo a Siracusa, sotto ogni punto di vista, e tutto invece molto palermitano.
Mentre avrebbe voluto essere uno spot per Siracusa (che certo non ha bisogno di pubblicità, ma di ben altro), la serie Tv di Taodue si sta rivelando un autentico boomerang per la città, divenuta teatro di stragi efferate, di delitti a catena, popolata da mafiosi di ogni risma e covo addirittura di un superlatitante ricercato dal 1993, una città dove – molto risibilmente – si sente parlare messinese, palermitano, catanese e mai nell’accento locale se non da qualche personaggio della strada.
Intendendo mutuare il modello de “Il commissario Montalbano” col fotografare le bellezze siracusane anzichè ragusane, la produzione ha completato un teorema che trasforma il Sud-Est siciliano in un Far West bello e invivibile. Tutto il contrario della realtà. Ma mentre il ciclo di Montalbano si ispira a casi di cronaca nera, con scarse e insignificanti derive nell’ambito mafiologico, la serie diretta da Pellegrini è basata su una vicenda di mafia di tipo essenzialmente palermitano, al punto che pagine di storia appartenenti alla Sicilia occidentale, come la guerra dei corleonesi alla vecchia mafia palermitana, trovano qui svolgimento quasi che Siracusa fosse a trenta chilometri da Corleone. Perdippiù, mentre la serie di Montalbano si nutre di uno sfondo da commedia disincantata e divertita, in linea con i romanzi di Camilleri, quella del colonnello Spada si vale di un fondo altamente drammatico, tale che la stessa fiction dichiara di voler superare la realtà, quando invece la stravolge del tutto.
Per fortuna i danni sono contenuti, perché la serie sta registrando scarsi ascolti: non solo per una trama scontata, saputa, prevedibile, stereotipata e infine stucchevole, con dialoghi ripresi dai più abusati film sulla mafia e colpi di scena da cinema d’antan, ma anche per un sensazione di estraneità indotta dal confronto tra lo sceneggiato e le sue scene. Siracusa può ispirare bellezza naturalistica e architettonica, disamministrazione politica, può essere sinonimo di “astuzia greca e punica perfidia”, come diceva Cicerone, ma certamente non può ricordare una Chicago anni Trenta rispolverata in una Palermo anni Ottanta.
Nonostante i danni modesti, l’effetto è comunque deleterio. E non si capisce come sia stato possibile che l’amministrazione comunale, con in testa il sindaco Garozzo che si è fatto fotografare con la troupe e ha espresso parole di grande soddisfazione e gratitudine, abbia consentito, approvato e benedetto uno sceneggiato che trasforma la capitale siciliana della cultura nella capitale siciliana della mafia.