In un articolo apparso il 30 maggio sul sito del New York Times, la viaggiatrice statunitense Francine Prose, più volte in Sicilia, l’ultima dieci anni fa, parla di Siracusa, tappa più importante del suo viaggio insieme con Cefalù. La Prose, autrice del libro “Odissea siciliana”, è una scrittrice fantasiosa, affascinata dalle supposizioni più inverosimili. Scrive nel suo reportage che l’Orecchio di Dionisio serviva per ascoltare le tragedie al teatro, come se ai governanti fosse impedito di essere nella cavea e soprattutto come se fosse davvero possibile che la voce dalla cavera arrivasse alla caverna.
Racconta nondimeno che, arrivata con marito, figli e nipoti, ha preso in affitto un appartamento, dove è mancata la luce e, credendo di sapere che potesse mancare per settimane, si è fatta rimborsare i soldi e si è trasferita con marito, figli e nipoti all’Algilà e da qui al Des Etrangers dopo l’arrivo di turisti pasquali che avevano riempito le camere.
“Siamo stati in Ortigia – scrive nel suo reportage -, la bella isola raggiungibile dalla terraferma attraverso un piccolo ponte. Anche se ho visto di gran lunga più ristoranti e negozi di souvenir di quanti ricordavo, l’architettura di Ortigia, le strade acciottolate, il suggestivo lungomare e soprattutto la Piazza del Duomo (particolarmente bella quando è illuminata di notte) sono apparsi non meno entusiasmanti di quanto ricordassi. Né era meno affascinante osservare in modo visibili ovunque in tutta la città gli strati della storia.
“Tra le meraviglie di Siracusa una delle più importanti e belle è il dipinto di Caravaggio, ‘La sepoltura di Santa Lucia’, che è stato fatto nel 1608, quando l’artista ha preso brevemente rifugiò in Sicilia, in fuga da una accusa di omicidio a Roma. Il dipinto, temporaneamente ospitato nella chiesa di Santa Lucia alla Badia, su un lato della Piazza Duomo, raffigura la sepoltura della santa patrona, stesa nella parte inferiore della tela, circondata da persone in lutto e tale da rendere parziale la nostra vita per via del vasto e potente posteriore del becchino. Tutto questo – l’azione del dipinto, per così dire – traspare in un’area ristretta della tela, sotto una vasta distesa di spazio buio vuoto che è stato restaurato dall’ultima volta che l’ho vista nel Museo d’arte di Siracusa, rivelando un mattone di nicchia, vagamente visibile nella penombra sepolcrale.
“Sulla terraferma – continua l’autrice -, a pochi taxi o in autobus (o di più a piedi) da Ortigia, c’è la zona archeologica, una sorta di centro di intrattenimento classico con uno dei più grandi e imponenti teatri greci esistenti. Nello stesso parco ci sono una serie di caverne, o latomie. Ora, circondate da un bel giardino piantumato con limoni e aranci e pesantemente popolato da uccelli canori, ci sono le grotte che sono state utilizzate come prigioni dai governanti dispotici della regione. Forse la più nota di queste grotte è l’Orecchio di Dionisio, cui è stato (almeno apparentemente) dato il nome da Caravaggio, che ha osservato il modo in cui l’ingresso della grotta assomiglia a un enorme orecchio.
I nostri nipoti hanno amato correre dentro e fuori di queste meraviglie naturali, un po’ scoraggianti e scure, e sono stati davvero colpiti dall’acustica, insolita perché il minimo bisbiglio può essere ascoltato in tutta la caverna. La leggenda vuole che questa caratteristica è stata usata dai governanti per origliare le conversazioni dei prigionieri ignari, anche se sembra più probabile che questa amplificazione naturale è stata ingegnosamente impiegata per aumentare l’udibilità delle opere rappresentate nel teatro greco.
“Come in gran parte della Sicilia, il cibo a Siracusa è – per dirla semplicemente – grande. Uno dei migliori pasti che abbiamo fatto durante il nostro viaggio è stato a da Burgio, una sorta di raffinato negozio di alimentari all’aperto e un ristorante in un angolo del mercato di Ortigia. Burgio si concentra su prodotti locali – formaggi, insaccati.
“Abbiamo trascorso gran parte del nostro tempo (quattro giorni) a Siracusa semplicemente passeggiando e mangiando. Mi sarebbe piaciuto passare più tempo in viaggio su e giù per la costa del Mar Ionio, e le città di Ragusa e Modica. Speravo di portare la famiglia al mercato del pesce di Catania, dove un tempo avevo mangiato la pasta con ricci di mare in una piccola trattoria vicino alla pescheria, le cui bancarelle erano vuote perché tutti erano riuniti per ammirare un tonno gigantesco portato da un pescatore. Mi sarebbe piaciuto avere il tempo da dedicare alla bellezza delle località costiere di Aci Trezza e Aci Castello, e per visitare Noto, la città selvaggiamente barocca dove ogni cornicione e davanzale appare in lizza per la grande complessità della decorazione, e dove un balcone può essere accolta da sirene, grifi o cavalli al galoppo scolpiti nella pietra”.
Francine Prose si è fatta fama di grande appassionata della Sicilia, ma ne è una conoscitrice superficiale, che come ogni turista segue i percorsi già visti, non tralasciando nemmeno gli stereotipi. Per Pasqua è tornata a Siracusa con la famiglia ripercorrendo gli stessi itinerari. Nella voglia di affascinare i nipoti li ha portati nei siti più noti adducendo teoremi del tutto infondati come la volontà dei “governanti” di ascoltare le tragedie in scena al teatro praticando un foro in una caverna ben distante. Tali eccessi, al limite del ridicolo, sono possibili a causa dell’assenza in tutta Siracusa di tavole dedicate ai turisti contenenti itinerari intelligenti e soprattutto una guida rigorosa che impedisca la divulgazione anche all’estero di informazioni da grottesco da parte di viaggiatori come la Prose che peraltro non una turista qualunque.