E’ molto difficile che chi spenda 30 milioni nell’acquisto di terreni e progettazione per realizzare tre strutture turistico-ricettive extralusso si arrenda facilmente all’idea di avere buttato i propri soldi e poi si rassegni a tenersi le sue aree inutilizzate e spoglie. Dopo nove anni Emanuele Cisa Asinari, marchese di Gresy, ormai di casa a Siracusa per la sua battaglia solitaria, appare più intestardito di prima e perciò si è detto che se ha fatto 30 (milioni) può fare 31. In verità ha già fatto 32, segno che non ha la minima intenzione di lasciare l’assedio di Siracusa e rinunciare a coronare il suo sogno di vedere sorgere i suoi grandi alberghi da 1500 euro a notte per una clientela di nababbi e tycoon: il resort alla Pillirina, Villa Bibbìa a Palazzolo e l’agriturismo ancora senza nome in contrada Gallina ad Avola. Così, non badando più a spese, tiene in tutta Italia, attivi come molossi, ben dodici avvocati tra civilisti, amministrativisti e pure penalisti mentre segue personalmente, sostenuto da un pool di tecnici altrettanto agguerriti e da consiglieri di amministrazione allineatissimi e all’erta, i sedici ricorsi al Tar che più che attendere sviluppi in realtà languono.
Non si capisce se sia pentito di essersi buttato in un business che sembra una puntata da pazzi alla roulette, ma sicuramente non lo dà a vedere giacché trova ogni occasione buona per tornare a Siracusa e dirigere nuove manovre di guerra. Su due fronti, Palazzolo e Avola, si sta prendendo qualche soddisfazione o perlomeno si sta evitando dispiaceri. Ad Avola, nelle terre della Marchesa di Cassibile, a due chilometri dalla Masseria sul mare e nel mezzo della pineta compresa nella Riserva di Cavagrande, Di Gresy ha acquistato un pugno di caseggiati da ristrutturare per farne un agriturismo di gran lusso. Ora aspetta solo la licenza edilizia, ma intanto ci ha costruito la sua dimora personale siracusana dove soggiorna quando è in Sicilia. Avviata è invece Villa Bibbìa, edificio dell’Ottocento della famiglia Messina tra Noto e Palazzolo più volte ristrutturato: diventerà un sontuoso residence dotato di 33 camere e affidato al magistero dell’operatore turistico internazionale Six Senses, brand che si ritrova solo in resort inseriti in contesti paesaggistici di sicuro effetto e il cui range contempla l’eccezionale rapporto di tre risorse umane per ogni camera. Villa Bibbìa nascerà per prima: anche perché la partecipazione di Six Senses (dopo le amare esperienze di Elemata con altri due operatori internazionali, Four Seasons e Aman Resorts, che hanno rescisso alla scadenza i contratti nella paralisi del progetto più ambizioso e costoso della Maddalena) non è vincolata a un termine e alla preminenza della Pillirina.
Six Senses sembra avere accolto in pieno l’idea della Elemata Maddalena di Di Gresy di creare un triangolo del lusso tutto siracusano che leghi Palazzolo, Avola e il Plemmirio. Nella visione del marchese piemontese le tre strutture sono infatti collegate e complementari: un residence nell’entroterra per un riposo più a contatto con la natura, un agriturismo a trecento metri da una spiaggia di sabbia finissima e acque cristalline e un grande albergo nel posto più bello di tutti: la Pillirina. Ma anche per lui il resort della Penisola Maddalena costituisce il must irrinunciabile e prioritario. Il sogno dei sogni che per questo è rimasto ancora tale e che ha dato il nome alla società. Società che però si trova con l’acqua alla gola dal momento che Di Gresy ha chiesto il concordato preventivo della Elemata per evitare il fallimento: un fatto nuovo questo che getta scure ombre sull’attività del marchese e sulla riuscita del suo progetto più grande – che però è diventato più piccolo perché ridimensionato dallo stesso Di Gresy pur di vederlo realizzato.
Si tratta in realtà del progetto più difficile da portare a termine. I dirigenti di Elemata hanno una spiegazione: agriturismo e residence ricadono in territori comunali, Avola e Palazzolo, le cui amministrazioni hanno colto i vantaggi del loro insediamento anche sotto l’aspetto occupazionale e dell’indotto e non hanno posto ostacoli, mentre il Comune di Siracusa continua a mostrare avversione e sollevare contrasti. Ma la verità è un’altra: l’agriturismo è previsto in una zona, contrada Gallina, fortemente antropizzata e di scarso interesse storico, mitologico e archeologico mentre Villa Bibbìa esiste da secoli, è stata già rimaneggiata, è servita da una rete stradale esistente e non può determinare alcun maggiore impatto sull’ambiente se ristrutturata e migliorata ancora una volta.
La Pillirina è un’altra cosa. È così affascinante, misteriosa, remota, di una verginità che chiede di rimanere intangibile e di una bellezza che evoca panorami onirici, da spiegare le resistenze protezionistiche a ogni tipo di insediamento e le insistenze affaristiche a farne un paradiso di miliardari. Del resto quando Di Gresy vide i luoghi non ebbe dubbi e li comprò pagando sull’unghia 18 milioni, ancorché fossero cosparsi di serre ortofrutticole ormai abbandonate.
Della leggenda della Pillirina, la fanciulla pellegrina che sulla spiaggetta ogni notte aspettava il suo amante finché non lo vide più, e delle ricerche archeologiche condotte sul posto da Paolo Orsi nonché della supposizione che su quel pianoro si fosse accampato l’esercito ateniese in guerra contro Siracusa, come della presenza di chiesette rupestri paleocristiane, Di Gresy immaginò, a buona ragione stregato, di farne un pacchetto esclusivo per nuovi viaggiatori attratti da un antico e immortale pittoresque in un buen retiro dove l’alba e il tramonto cantati da Seneca avrebbero fatto, nei migliori confort, da elisir per un’esperienza impagabile, anzi pagatissima.
Le cose non sono andate finora secondo i proponimenti di questo imprenditore raffinato, cocciuto e certamente esperto in fatto di lusso estetizzante e di intraprese mirabolanti, che dice di non essere venuto a cementificare ma ad infrastrutturare. Ma è proprio l’infrastrutturazione del Plemmirio che gli ambientalisti respingono. Per difenderlo hanno messo da parte le rispettive sigle e si sono riuniti in un organismo chiamato “Sos Siracusa” posto sotto l’iniziativa di Enzo Maiorca, “il signore del mare” contrapposto al “signore della terra” identificato in Di Gresy.
Gli ambientalisti non sono rimasti soli, ma hanno trovato il sostegno del Comune e in parte della Regione. Strano a credersi, Palazzo Vermexio ha mostrato una sensibilità – Garozzo innanzitutto, che come capogruppo propose l’istituzione della Riserva e come sindaco ha chiesto di averne affidata la gestione – e una coerenza che ha sorpreso gli stessi ambientalisti.
Oltre la Giunta in carica, anche il Consiglio comunale ha fatto la sua parte votando nel 2010 e nel 2011 due delibere la seconda delle quali, la numero 118, nota come “variante della bellezza” e intesa a precludere ogni insediamento, è stata nel 2016 annullata dalla Regione ma è oggetto ora di un ricorso al Tar che però è alquanto imbarazzante perché su di essa si pronunciarono a sfavore l’ufficio legale, quello urbanistico, il Genio civile e la stessa Regione. La prima, numero 161, fu portata in Consiglio nel dicembre 2010 dal capogruppo Pd Giancarlo Garozzo che propose la variazione di destinazione d’uso dei terreni acquistati nel 2008 da Di Gresy, il quale il precedente 29 novembre aveva presentato un Piano di lottizzazione come variante al Prg in vista della creazione di un mega-resort. Il Consiglio si mise di traverso e, sulla spinta delle forze ambientaliste, avviò il progetto di costituzione della riserva divenuta realtà – ma virtuale – nel 2015 con l’iscrizione nel Registro regionale dei parchi, cosa che però non significa che la Riserva naturale orientata Murro di porco è operativa perché manca ancora del decreto istitutivo e di una serie di adempimenti fra cui la perimetrazione. In sostanza c’è ma non si sa esattamente dov’è. Nel modificare la destinazione d’uso il Consiglio comunale si distrasse e dimenticò, intervenendo nella capacità edificatoria del Prg, di cancellare dalla variante la relativa dotazione turistico-ricettiva dei posti-letto, penalizzando la Elemata e favorendo qualche altra struttura. Allora si guardò con sospetto a un altro resort progettato ad Ognina, ma si rimase alle mere insinuazioni.
Del Piano di lottizzazione Elemata il Comune alla fine non ha fatto niente, sicché agli inizi del 2016 la Elemata ha notificato ai dirigenti regionali una diffida stragiudiziale facendo valere il principio di silenzio-assenso. Ma non ha ricevuto alcun riscontro. Nello stesso tempo Di Gresy si è fatto quantificare i danni subiti dalla mancata concessione edilizia e, adottando il metodo Frontino, ha citato Comune e Regione per centinaia di milioni.
Le cose si sono complicate perché la Sovrintendenza, sempre nel 2016, ha posto su Punta di Mola un nuovo vincolo nella specie della “dichiarazione di interesse culturale”. L’intervento è stato necessario perché il vincolo paesaggistico non basta dal momento che la Regione è ancora priva del Piano regionale paesistico fermo all’esame dell’Osservatorio regionale del paesaggio. Cosicché il vincolo in teoria esiste ed è di livello 3 ma è temporaneo e quindi precario.
Al momento la vicenda è in stato di attesa. Si aspetta che il Tar si pronunci sulla richiesta di annullamento dell’iscrizione della Riserva nel Registro dei parchi e che l’assessorato regionale al Territorio nomini un commissario ad acta che approvi il Piano di lottizzazione, richiesta anch’essa pendente al Tar. La Elemata, che ha alzato il tiro, vuole che la sua variante diventi esecutiva, non nella parte corretta nel 2012 ma nella versione originaria, cioè quella più invasiva.
Nel 2012 sembrò infatti di essere a un passo dall’accordo, dopo che Di Gresy, forte dell’accordo con la Aman Resorts, propose una rimodulazione del progetto, ridotto del 40% in volumetria e superficie, nonché una serie di misure compensative come indennizzo, fra cui la cessione gratuita dell’intera fascia costiera all’ente di gestione della Riserva.
La Regione si disse d’accordo, ma la firma non è arrivata nonostante un intendimento delle parti perché si levò un oscuro fronte contrario composto non dai soli ambientalisti. Così la Elemata reagì duramente tornando alle posizioni di partenza anche perché la Aman Resorts si ritirò.
Ora, su nuove basi, è subentrata la Six Senses, ma il clima è di contrapposizione. Di Gresy ritiene di essere nel giusto rivendicando il riconoscimento del diritto a costruire nel proprio terreno che il Prg già dal 1974 prevede appunto come edificabile. Il successivo Prg del 2007 ha confermato l’assetto ma nello stesso tempo ha mancato di prevedere la vincolistica archeologica al Plemmirio come in altre zone della città fra cui Akradina ed Epipoli. Un pastrocchio di cui se ne pagano oggi le conseguenze.
Ad un imprenditore che vuole portare a Siracusa turismo d’élite, più di 200 posti di lavoro, 200 milioni di investimenti, un indotto difficile quantificabile continua a essere negato un sacrosanto diritto soggettivo e reale che però si fonda su una mancata tutela del territorio da parte degli enti locali. I responsabili, comunali e regionali, di questa insensata situazione di stallo alla siracusana sono rimasti impuniti. Ma l’errore più grosso lo ha commesso lo stesso Di Gresy. Circondandosi di consiglieri locali piuttosto inquietanti, è arrivato a Siracusa per proporre un progetto di insediamento urbanistico, quindi speculativo, mentre diverso sarebbe stato l’approccio se fosse venuto offrendo un progetto culturale e mostrandosi non nei panni del costruttore ma in quelli del mecenate. Se, come fecero le industrie petrolifere, avesse innanzitutto fatto qualcosa per Siracusa prima di chiedere qualcosa da Siracusa, molto difficilmente sarebbe sorta un’opinione pubblica contraria. Del resto tutto il Plemmirio è devastato da insediamenti abitativi sul mare proprietà anche di noti ambientalisti che hanno distrutto la loro area privata e ora sono contrari allo sfruttamento di aree private altrui. La Pillirina è certamente un luogo di speciale suggestione dove il migliore intervento invasivo non varrebbe mai il mantenimento dell’attuale stato morfologico.