Carmelo Nicotra, 36 anni di Favara, espone al Bocs di Catania in una mostra prorogata fino al 9 marzo intitolata “Le ragioni della leggerezza” nella quale la superficie levigata dei volumi sostituisce lo stato grezzo che è stato la cifra dell’originale visual artist agrigentino, al quale la realtà appare comunque una variazione geometrica di forme soggette a fare da contenuto e da contenitore, cambiare consistenza da pesante a leggero ed anche mutare aspetto esteriore. In questa esposizione le installazioni presentate si offrono a uno sguardo che non può estraniare l’ambiente dove sono ospitate, così reificato in un garage spoglio e incrostato, con luci al soffitto da rifugio antiaereo, tale da costituire un unico solido con le opere, a creare un contrasto tra intonso e lavorato, levità e pesantezza, vintage e moderno, linea e rotondità.
C’è del concettuale in Nicotra e forse anche del cervellotico e dell’eclettismo – si veda la scala escuberta di stile catalano con la colonna dorica disegnata a muro – , una smania di ricerca che punta a esplorare i secondi piani, a trovare simboli e segnare condizioni sociali, a metà tra i ready made di Michel Duchamp e i bibelots di Andy Warhol, e poi come un modernismo anni Sessanta che si vale dei suoi colori pastello e di una tentazione immagata di concepire mondi astratti e futuribili, ma anche un senso sironiano dell’ordine, una geometria volumetrica appunto che sa di industriale, di invenzionale, in una parola di reale.

Lontano dunque da illecebre postmoderne, Nicotra – pur dando l’impressione di volerle in qualche modo lambire – è alla sua circostanza che guarda, dove la circostanza è Favara, la sua cittadina. Qui l’artista, che pure si è formato ad esperienze europee e non ha girato le spalle a ogni forma di sperimentalismo con grande slancio verso la contaminazione dei generi, ha imparato a cercare l’arte anche nel disfacimento, nelle case demolite che lasciano intravedere gli interni, nelle pietre, negli intonaci, nei ruderi che non sono macerie ma rovine, testimonianza non solo di un’architettura del passato ma anche di una dimensione antropologica, di una cultura fatta di storia e di tradizioni popolari, di linguaggi parlati e di altri espressi nelle cose. E’ il contrasto lo strumento di osservazione di Nicotra e al “contrasto” di Ciullo d’Alcamo ha infatti pensato andando a deporre nella piazza del paese natale del padre della poesia italiana un “Monumentu” a terra in figura di fogli da leggere e con suoi versi scolpiti. Il contrasto che abbiamo visto nel 2014 alla Valle dei templi dove pose un marmo con un’epigrafe, “Do ut des”, in ricordo delle epigrafi, andate perse e distrutte, del mecenate inglese che finanziò scavi archeologici. Lo stesso contrasto che nel 2011 lo portò a immaginare un’installazione chiamata “Ars dicendi”, composta di sedie attorno a un televisore su un’altra sedia dal quale una voce di donna raccontava storie mostrando sullo schermo solo la parte del corpo che si sarebbe vista se fosse stata realmente presente. Il contrasto ancora sostenuto in “Comodino”, che è una scultura del 2013, dove una pila di mattoni forati forma le pareti di un comodino chiuso, intendendo evocare il costume tipico dei siciliani di lasciare le case all’esterno grezze e prive di intonaco per impegnarsi economicamente nella rifinitura degli interni.
Nicotra ha fatto del suo paese il modello personale da raffigurare nei suoi minimi cambiamenti spaziali, nei suoi processi entropici, nelle sue forti contraddizioni. E si serve nella sua opera di ogni mezzo artistico e di ogni risorsa, dalla pittura alla scultura, dall’audio al video, dall’installazione alla composizione. Le sue opere non sono da vedere ma da vivere. La stessa mostra al Bocs di Catania avrebbe un altro significato e altri effetti se esposta in un ambiente diverso, che non crei lo stesso contrasto e non induca a credere se si stia guardando un’opera d’arte oppure ci si stia dentro.