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La vita spericolata di Vittorini doveva diventare un film biografico

di Massimo Grillo
29/07/2019
La vita spericolata di Vittorini doveva diventare un film biografico

Massimo Grillo, docente a LIvorno, è autore del libro Camunia uscito nel 1993 I Vittorini di Sicilia.

Il noto regista Silverio Blasi, già settantaduenne, mi telefonò un giorno da Capranica, all’inizio del ’94 e cominciò a parlarmi in modo entusiasta di Elio Vittorini e di come l’avevo visto e rappresentato io. Poi mi mise a parte del suo progetto di fare un film su di lui. Lo considerava un personaggio straordinario, con una storia alle spalle che si prestava magnificamente ad una trasposizione di tipo cinematografico, e anzi si stupiva che non ci avesse pensato nessuno. Naturalmente lo incoraggiai, mettendomi a sua disposizione. Non specificò tuttavia se intendeva proseguire nella serie dei suoi sceneggiati televisivi, commissionatigli dalla Rai, in particolare in quella delle biografie, di cui era stato un eccezionale antesignano, da Vita di Michelangelo (in cui era riuscito ad imporre come protagonista Gian Maria Volonté) a Caravaggio, a Murat.
Si era riservato infatti di rispondere in seguito ad alcune mie domande. Mi raccomandò invece di non parlare con nessuno della cosa. Nel mese di maggio poi mi richiamò per tracciarmi, a grandi linee, il contenuto del suo progetto, facendo un vago riferimento non alla Rai, che – a mia insaputa – gli aveva commissionato da più di un anno la biografia di Masaniello, ma a degli imprecisati produttori romani.
Vittorini doveva essere il protagonista di un film in costume, in due tempi ad episodi, diretto a dimostrare quanto possa dare il Mezzogiorno, ed in particolare la Sicilia, in termini di umanità e creatività, pur con tutte le sue contraddizioni. Le vicende del primo tempo si sarebbero svolte nell’Isola, con una precisa ricostruzione storica, avrebbero abbracciato la vita del giovane del giovane Elio fino al definitivo abbandono della sua terra, il 18 ottobre del ’29, quando aveva ventun anni. Sarebbe stata raccontata così, inquadrandola, di fatto, nel primo trentennale del secolo, la storia della sua famiglia e del suo apprendistato sociale e culturale, maturato attraverso fondamentali esperienze e contatti umani, che lo portarono a ribellarsi precocemente ad ogni forma di condizionamento che gli impedisse di realizzarsi e di sognare un mondo più libero e giusto: dall’autorità paterna, a volte eccessiva, al sistema scolastico e in particolare alla riforma Gentile (che contestò partecipando, da protagonista, ad un’occupazione del Liceo Gargallo di Siracusa), dall’ordine politico esistente, che lo condusse inizialmente a coltivare amicizie anarchiche e gli guadagnò la sorveglianza della polizia, all’angusto provincialismo della cultura italiana che arditamente ebbe il coraggio di accusare con una specie di lettera aperta, tanto forte era la sua voglia di cimentarsi con la realtà, di muoversi in spazi sempre più grandi.
Il secondo tempo del film sarebbe stato ambientato invece a Milano, così da far vedere ancora quanto il Sud possa dare al Nord, senza minimamente rinunciare a qualcosa di sé, ed anzi attingendo a tutte le sue potenziali e preziose memorie. Vittorini, d’altra parte, si era portato dietro uno “strato di Sicilia sommerso” e un bagaglio di ricordi, anche favolosi, che riaffiorarono, pur trasfigurati, in molti suoi racconti e romanzi (da Il garofano rosso a Conversazione in Sicilia, da La Garibaldina a Le città del mondo), ed anzi, quando erano venuti certi momenti difficili o si era sentito come prosciugato  dentro, aveva dovuto scrivere “rivolto all’indietro”, ai suoi “quindici anni d’infanzia e di Sicilia”. Sarebbe stato così messa in luce la sua multiforme operosità nel capoluogo lombardo (compresa la sua attiva partecipazione alla Resistenza), volta ancor più intensamente al servizio di istanze sinceramente democratiche, dopo essere guarito da tempo dal suo abbaglio giovanile, al punto di farlo diventare presto un “formatore di speranze”, al pari di Levi, “una grande autorità morale”. E questo anche perché riuscì a coniugare un forte e rigoroso spirito critico, provocatorio, una continua azione di ricerca e di intervento sul piano culturale, propria di chi crede nella grande responsabilità sociale dell’intellettuale (si pensi, ad esempio, alla stagione del Politecnico, con le sue notevoli attitudini narrative, volte a esprimere la sua visione del mondo e i suoi progetti di liberazione).
Intenzione generosa e impegnativa allora quella di Silverio Blasi, intrisa di una chiara valenza politica, che non doveva essere destinata a restare sulla carta. Come infatti mi raccontò pochi mesi dopo, aveva bussato alle porte dei produttori romani di cui mi aveva parlato e forse anche a quella della Rai, in cerca dei necessari stanziamenti, dopo aver preparato un abbozzo di sceneggiatura. Ma non era riuscito nell’impresa di convincerli. Mi disse però che non si dava per vinto, che avrebbe tentato ancora, perché ne valeva la pena, forse tacendomi che aveva già subito un grave attacco di cuore. Poi, dopo una luna attesa, a quattro mesi di distanza dalla scomparsa del suo attore preferito, Gian Maria Volonté, mi giunse la notizia inaspettata della sua morte, avvenuta a Roma il 27 aprile del ’95. Una grave perdita e la fine di un magnifico progetto che non so tuttavia come sarebbe stato accolto dalla critica.

Vittorini attore in “Giulietta e Romeo”

Quanto a Vittorini, posso solo dire che è sempre stato restio a parlare di sé e della propria famiglia. Non a caso ci ha lasciato solo delle scarne note autobiografiche. Allo stesso modo, riluttava dal mostrarsi in pubblico e soprattutto dal prendere la parola davanti a vaste platee. Ma amava il cinema e scrisse su di esso, ad esempio in Rassegna del film, e anzi nel 1953, seppure facendo qualche resistenza, accettò di interpretare la parte del principe nella versione cinematografica di Giulietta e Romeo, diretto da Renato Castellani. Inoltre nel 1959, con i materiali di un suo romanzo interrotto a sfondo siciliano, elaborò il “romanzo scenico” Le città del mondo per Fabio Carpi e Nelo Risi, che volevano trarre un film (realizzato per la televisione solo nel 1975): un’operazione che lo interessò moltissimo in quanto gli permetteva di sperimentare un linguaggio narrativo di verso da quello tradizionale. Volle infatti accompagnare personalmente Risi e il produttore Mortara in Sicilia quando venne il momento di girare gli esterni.

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