La desecretazione di alcune deposizioni di Paolo Borsellino all’Antimafia in coincidenza con il 27° anniversario dell’uccisione poco ci dice della mafia degli anni Ottanta, limitandosi a denunciare l’inadeguatezza delle strutture giudiziarie e dei mezzi di indagine. Borsellino riferiva in parlamento quanto i giornali già scrivevano da anni circa l’insufficienza della lotta alla mafia. Si preoccupava di fortificare l’apparato inquisitorio e chiedeva poteri e mezzi di cui anche il prefetto Dalla Chiesa faceva insistente richiesta. Ma senza la rottura del sistema interno a Cosa nostra, rottura dalla quale nacquero in quella stagione i grandi pentiti come Buscetta e Contorno, anche i migliori e più sofisticati strumenti sarebbero stati inutili. Né il fenomeno del pentitismo fu il frutto dell’azione di polizia o dell’iniziativa giudiziaria, bensì l’esito della seconda guerra di mafia che fece rovine e cambiò gli assetti mafiosi. In quegli anni le procure brancolavano nelle tenebre e furono gli scrittori e i giornalisti a cercare di squarciare le cortine. Qualcuno perdendo la vita.