La critica accademica è quella che su Camilleri ha preso più abbagli. L’ultimo è di un docente palermitano, Franco Lo Piparo, secondo il quale Camilleri inventò una lingua, il vigatese, che sarebbe, come qualsiasi dialetto, una variante dell’italiano e perciò comprensibile a tutti. A sostegno riporta due citazioni del Cinquecento e del Settecento e ricorda addirittura Verga. Corbellerie. Camilleri non ha inventato alcuna lingua, perché scrive nel riconoscibilissimo dialetto che conosce e cioè l’agrigentino: quel che fa (salvo l’esperimento del “Re di Girgenti”, dove davvero inventa una lingua, anzi la recupera) è di innestare il dialetto locale nella parlata siciliana, ovvero in quel dialetto borghese che, giuste le teorie di Sciascia e Pirandello, costituisce la forma espressiva più vicina all’italiano. E del resto il dialetto borghese è proprio quello che parlano i siciliani rimestando giri sintattici e termini che mutuano siciliano e italiano in una guazza che perciò è tanto orale che scritta. Quanto a Verga, non usò mai il dialetto ma “l’artificio della regressione”. Che è tutt’altra cosa.