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L’errore di Consolo su Alcara Li Fusi, “Non ci fu un Lanza con i rivoltosi”

di Giorgio Aricò
24/01/2019
L’errore di Consolo su Alcara Li Fusi, “Non ci fu un Lanza con i rivoltosi”
Giuseppa Satullo Lanza

Giuseppa Satullo Lanza è una donna che vive da sessant’anni a Sant’Alessio Siculo e solo ogni tanto torna ad Alcara Li Fusi, il suo paese d’origine dove conobbe e sposò un altro Lanza che era il medico condotto di Sant’Alessio morto ormai da gran tempo. Lei è l’ultima discendente vivente della dinastia dei Lanza di Alcara, quattro dei quali furono uccisi il 17 maggio 1860 nella rivolta popolare ricostruita da Vincenzo Consolo in Il sorriso dell’ignoto marinaio. Nel romanzo Consolo dà ad uno dei civili liberali e promotori della rivolta il nome di don Nicolò Vincenzo Lanza, che potrebbe sembrare autentico dal momento che, nella scena in cui i “bracciali” sono incitati alla sommossa, è associato a don Ignazio Cozzo, figura realmente esistita, agitatore del popolo alla rivolta fino ad essere poi giustiziato. Tanto più don Nicolò Vincenzo Lanza appare reale che quando il colonnello Interdonato annuncia la severa punizione dei rivoltosi “si mise a lacrimare”.
Giuseppa Satullo Lanza non accetta che un Lanza possa figurare tra i facinorosi in un libro a metà tra romanzo e saggio, messo per giunta in berlina laddove don Ignazio Cozzo gli ingiunge di stare fermo, lui e il suo cavallo, provocando così la risata dei contadini.
«Mia madre – rivela – mi raccontò più volte la storia della rivolta che aveva avuto raccontata a sua volta da sua madre. Non ci fu alcun Lanza che parteggiò con i rivoltosi e avesse ideali garibaldini. Il conte Vincenzo Lanza fu barbaramente trucidato dai rivoltosi al circolo dei nobili dove si trovava con altri cosiddetti civili. Il figlio Luigi, un ragazzino appena, non vedendolo rincasare, andò a cercarlo al circolo e fu ucciso anche lui. I corpi furono lasciati nel sangue in piazza insieme con gli altri. Andò così quella brutta storia».

La scritta ad Alcara in ricordo della rivolta

In effetti ci fu un galantuomo che, insieme con padre Saccone, il parroco del Rosario, la chiesa dove i rivoltosi la notte del 16 giurarono sul vangelo, aizzò l’odio popolare e fu l’avvocato don Manfredi Di Bartolo, né la ricerca storica ha mai fatto il nome di un Lanza tra i sobillatori. Del resto nelle scritte murali che lo stesso Consolo riporta alla fine del libro, riprese dalle pareti del carcere di Sant’Agata di Militello, ce n’è una nella quale uno dei bracciali condannati lascia scritto: “Mi capitò il giovinotto Lanza sorridente attassò senza lamento occhi sbarrati che dicono perché”. Si tratta del piccolo Luigi massacrato subito dopo il padre.
Nella scena dell’incontro tra civili a cavallo e contadini, di don Nicolò Vincenzo Lanza scrive così Consolo: “Biondo, allampanato, ad ogni parola [di don Ignazio Cozzo, nd], assentiva con la testa, facendo su e giù, come la sua giumenta”. Consolo fa parlare prima  Ignazio, poi il capo dei bracciali Turi Melandro, ma non fa dire una sola parola a don Vincenzo Lanza, quasi a volerlo tenere in ombra e defilato, di secondaria importanza e piuttosto in ridicolo. Perché Consolo ha voluto un Lanza, cospicua famiglia nobiliare di Alcara, tra i rivoltosi? Pur dileggiandolo, probabilmente ha pensato di dare un compito storico all’aristocrazia: il conte Lanza, liberale, doveva essere l’opposto del borbonico principe Salina di Lampedusa.

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