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Una “Conversazione” mantenuta sotto tono, nonostante Hemingway

di Diana Trilling
13/07/2019
Una “Conversazione” mantenuta sotto tono, nonostante Hemingway

L’articolo firmato Diana Trilling – che, recuperato da Gianpiero Chirico,  appare per la prima volta in traduzione italiana – uscì su “The New York Times” il 27 novembre 1949, dopo la pubblicazione del primo romanzo di Vittorini in America, In Sicily (Conversazione in Sicilia). Il giornale titolò: “La storia di un’odissea umana” e sottotitolò: “Un romanziere italiano pesa la necessità di ritornare alle nostre spinte principali di speranza”.

“In Sicilia” è il primo romanzo di Elio Vittorini ad apparire tradotto in inglese e viene annunciato da diversi distinti scrittori, incluso Ernest Hemingway che ha scritto un’introduzione. L’autore, adesso quarantenne, è considerato uno dei migliori dei nuovi romanzieri italiani. Ha scritto “In Sicilia” dal 1936 al 1938 come romanzo a puntate in una piccola rivista fiorentina. A malapena notato nella sua originale comparsa – il libro vendette non oltre 300 copie quando fu pubblicato per la prima volta – fu ristampato nel 1942 in una edizione di 5000 copie che furono esaurite in un sol mese. Sotto pressione politica Vittorini si trasferì a quell’epoca da Firenze a Milano e divenne componente del clandestino movimento antifascista. Data la conoscenza che adesso abbiamo della storia politica di Vittorini, non si può equivocare sulla connotazione antifascista del romanzo, anche attraverso la sua consistente apparenza di oscurità politica. Ma tralasciando questa generale intenzione politica, “In Sicilia” è insolitamente soggetto a fraintendimenti. Infatti, si deve leggere virtualmente la sua effettiva lunghezza per scoprire il suo vero significato nascosto – che è molto di più e meglio che solo un romanzo di appropriati sentimenti politici; che è una meditazione sottile e coraggiosa  sulla relazione tra la nostra biologia ed il nostro comportamento nella società. Il plot è scheletricamente scarno. Silvestro, un giovane, a lungo residente nel nord Italia, ritorna con l’animo molto depresso dopo una visita a sua madre nella sua Sicilia natia. C’è un lungo viaggio in treno in cui enumera vari ed inaspettati personaggi con cui intraprende trasversali chiacchierate politiche; poi rientra nella casa che non vedeva dalla sua adolescenza. Sua madre, abbandonata da suo marito, un impiegato della ferrovia, dedito al bere in compagnia ed a declamare Shakespeare, provvede a se stessa facendo iniezioni ai poveri del suo paese, e Silvestro l’accompagna in giro per il paese, incontrando diverse donne sue pazienti che non sono troppo lontane dal diventare malate, per non gradire l’attenzione del giovane uomo. Da qual momento, egli si unisce a gente del luogo per bere e chiacchierare: questi uomini sono altamente incoerenti, legati insieme dalla comune sofferenza per i dolori di un mondo oltraggiato. Incontra anche il fantasma di un fratello ucciso in guerra. Finita la visita, Silvestro, ben risanato nella speranza, una volta in più lascia la sua patria.
Questa è la struttura di “In Sicilia” ed i suoi dettagli – la scelta di Vittorini della storia, le sue caratterizzazioni, il suo stile – hanno esattamente la statica e consapevolmente primitiva qualità di una promessa essenziale. Non c’è né dramma né azione in “In Sicilia”; tutto ciò che accade è nella rivisitazione del suo luogo di nascita, dove un giovane uomo ha un’intima esperienza di considerevole significato privato. I personaggi nel romanzo sono tipici delle bigotte escursioni letterarie nella primordiale umanità – incapace di esprimersi, illogica, sciocca. Gli uomini parlano con infinite ripetizioni, dicendo nulla ma sottintendendo infinità di saggezza; le donne sono felici o amareggiate, dotate di astuzia sessuale.  Quanto allo stile di Vittorini, è tutto stratagemmi ed espedienti, immaginazione al di sopra di ogni ingenuità, ponderose bizzarrie, citazioni formulate a metà, falso lirismo. Inevitabilmente riconosciamo il segno di Saroyan, di Steinbeck, e pensiamo che sia soltanto una versione italiana del nostro corrente sentimentalismo sulla virtù superiore e la sensibilità dei poveri e dei semplicioni.  Ma in un ultimo capitolo Silvestro apostrofa la statua di una donna nuda, un monumento ai caduti di guerra, nel quale suggerisce che la speranza del mondo consiste nel continuo mistero biologico e nell’affermazione: ed improvvisamente, con queste pagine, il romanzo di Vittorini si rivela in una luce completamente nuova. Una delicata ricerca dell’umanitarismo è trasformata in una citazione di decisa fede biologica come l’autore di “In Sicilia” dovrebbe aver imparato, non da Saroyan o Steinbeck, ma da D. H. Lawrence. Come Lawrence, Vittorini sta esplorando una non sofisticata società di poveri e di gente non colta, non per scoprire che i poveri siano gentili come i ricchi o l’ignorante più saggio dell’uomo colto, ma perché dove ci sono le minime decorazioni di civiltà noi veniamo a contatto con le nostre comuni ed umani doti naturali. L’apparato del primitivismo naturalmente resta nel romanzo di Vittorini, ed il nostro giudizio negativo è inalterato.
Ma adesso lo leggiamo come un metodo imposto a Vittorini dalle circostanze politiche dell’epoca. Ed eventi della storia che, dal primo incontro, sembrano parlare solo di innocenza e generosità e cameratismo dei poveri ceti ignoranti, scene che hanno sottinteso che la pura sessualità, come i chiari elementi politici, è la virtù speciale dell’uomo rozzo e noncurante, tutto al tempo stesso affronta un nuovo scopo ed importanza.
Noi ricordiamo, per esempio, la scena in cui Silvestro, lasciando i suoi compagni del paese immersi in una bevuta, è preoccupato per il fatto che così tanta buona energia sia spesa nel bere vino; ed adesso ci viene in mente che, oltre a lamentarsi per questa perdita, Vittorini sta anche dicendo che il cameratismo maschile generato dal bere, e le fantasie alcoliche di eroismo, sono un’offesa contro la natura, una cosa molto audace da dire per un moderno romanziere, anche indirettamente.
Ricordiamo le reminiscenze della madre di Silvestro sul comportamento del marito alla nascita dei suoi bambini, il suo disprezzo perché egli aveva gridato invece di aiutarla; e capiamo che attraverso questa donna risoluta ed amareggiata Vittorini sta chiedendo che gli uomini mostrino la loro forza nelle situazioni naturali della vita invece di recitare “Amleto” o “Macbeth”. Oppure abbiamo una nuova inclinazione alle discussioni tra Silvestro e sua madre, che all’inizio sembrano così ordite, poiché in ogni caso ella è l’eroina della storia perché diede un figlio al suo paese; ed adesso capiamo che Vittorini sta facendo una dichiarazione di primo rilievo politico – che se le donne rifiutano queste corruzioni ed agiscono con i loro istinti, il fascismo deve essere sconfitto; il mondo non è completamente sottomesso al fato. Ci rendiamo conto, in breve, che la visita di Silvestro nel suo luogo di nascita è molto più di ciò che la critica odierna comprende che sia, un’esperienza rivitalizzante di bontà di gente semplice non corrotta dalla civiltà. È un’elegante e sottile allegoria del bisogno dell’uomo di ritornare alla fonte iniziale del suo potere e della sua speranza.
“In Sicilia” è così un libro che deve essere particolarmente giudicato con lentezza, e nel suo contesto storico, perché il suo stile è ingannevole. In attesa della traduzione dell’opera successiva di Vittorini, scritto nella libera atmosfera politica del periodo post-guerra, noi ovviamente non sappiamo se Vittorini abbia continuato ad impiegare questo linguaggio sentimentale.  Ma sappiamo che in Italia a metà degli anni Trenta doveva necessariamente nascondere le sue eresie dietro la “poesia” dell’incapacità di esprimersi. Ma il culto del primitivo e dell’anti-intellettuale ha adepti tra letterati che non sono affatto come il caso politico di Vittorini; che, lontano dai controlli della polizia di Stato, tuttavia rinnegano i loro ed i nostri diritti come esseri umani pensanti – e queste sono le persone di cui dobbiamo diffidare per un disinvolto apprezzamento del romanzo di Vittorini. Mi riferisco specificatamente ad Ernest Hemingway nella sua introduzione al libro “In Sicilia”. È una breve introduzione, ma infinitamente allusiva e grossolana. Invece di aiutarci a comprendere un libro oscuro, Hemingway trascorre tempo contrastando ciò che egli chiama il “deserto” di New York con la “pioggia” di una scrittura creativa. “In questo libro” dice Hemingway “la pioggia che ti giunge è la Sicilia”. Apparentemente ciò che egli ammira nella rappresentazione di Vittorini non è la sua decisa e vivace idea – di ciò non fa alcuna menzione – ma la sua apparente distanza dalla vita di intellettuale.
Egli ne fa un’occasione per un attacco critico. Non è la prima volta che Hemingway ha dato voce al suo animo contro l’intelligenza critica, e se qualcuno si chiedesse quali vantaggi per così tanta ostilità da parte di uno scrittore che, in senso lato, è stato così ben celebrato dalla critica, la spiegazione si trova, io penso, di gran lunga al di sotto della superficie di una carriera evidentemente piena di successo, nella natura dell’opera creativa di gran talento di Hemingway. Tutti i libri di Hemingway ci chiedono di celebrare l’azione, preferibilmente azione di tipo violento – e non come la conseguenza di un pensiero, né in sostituzione di un pensiero, ma alle spalle di un pensiero. Noi concludiamo che la ragione per cui Hemingway vuole sbarazzarsi della funzione critica è che egli desidera essere liberato da quella parte delle nostre facoltà di decisione che non sanciscono felicemente l’azione insensata in cui egli è compromesso. Hemingway definisce la “pioggia” della scrittura creativa in un inventario scrupoloso di cose come “vino, pane, olio, sale, aceto, letto, primo mattino… musica da camera, vaso da notte, Wassermanns positivi e negativi, l’arrivo ed il non arrivo di attese munizioni; … tu odiavi o amavi la madre, possa riposare in pace o a pezzi; aculei di porcospino, gallo cedrone che tamburella su un tronco del sottobosco, l’odore della dolce erba e della pelle appena affumicata e Sicilia” . Noi poniamo dei limiti nel notare l’assenza dalla lista di Hemingway di esperienze generali e fondamentali come il matrimonio, la gravidanza, mantenere una casa, guadagnarsi la vita. Inoltre, rimettiamo la lista di Hemingway a ciò che è realmente la “pioggia” nel romanzo di Vittorini – la sua idea interiormente sentita – e rigettiamo lo sforzo di Hemingway di integrare l’autore di “In Sicilia” nella schiera degli irresponsabili. Tra l’affermazione biologica, che io ritengo sia la pornografia  del pensiero al centro della storia di Vittorini – la fiducia che, se noi tuttavia lo lasciamo solo e riponiamo fiducia in esso, la nostra più intima natura sessuale indicherà la giusta strada di condotta, anche di condotta politica – e la scadente asserzione di “vita” che è l’essenza della prefazione di Hemingway – la fiducia nell’esperienza (ma solo di un certo tipo romantico) per la sua stessa salvezza – non c’è connessione: ed è ingiusto presentare “in Sicilia” al suo pubblico americano come se ci fossero.

(Traduzione di Gianpiero Chirico)

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